Foto: Reuters
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A confermare la notizia su una possibile tregua sono i media egiziani, secondo cui i Paesi arabi e occidentali starebbero facendo pressioni su Hamas affinché accetti le condizioni previste dall'intesa. I colloqui sono centrati ora su un accordo in due fasi che porterebbe a una prima interruzione dei combattimenti – 3 settimane e poi 10 - con il rilascio di 40 dei 130 ostaggi che si ritiene il gruppo islamista detenga ancora in cambio della liberazione dei palestinesi imprigionati da Israele. In un secondo momento si deciderà in merito al rilascio degli altri ostaggi, compresi soldati. A seguito dello scambio di prigionieri verrebbe garantita una tregua consistente in un “periodo di calma prolungata”. “Il nostro popolo vuole che l'aggressione finisca pertanto il movimento si impegnerà a rispondere il prima possibile a questa progetto diplomatico” hanno fatto sapere alti funzionari palestinesi. Netanyahu, dal canto suo, ha dichiarato che l'attacco su Rafah, annunciato e promesso da tempo, sarà effettuato “con o senza un accordo di tregua”, aggiungendo che la fine della guerra prima del raggiungimento degli obiettivi “non è un'opzione”. Ha sottolineato che l'operazione dell'esercito israeliano sulla città, nella parte meridionale della Striscia di Gaza, non è subordinata all'esito dei negoziati per il cessate il fuoco. Un messaggio chiaro, che è stato a lungo sollecitato dalla comunità internazionale a non attaccare per non aggravare la già disastrosa situazione umanitaria. Nel frattempo, la corte internazionale di giustizia dell'Aia, la massima corte ONU, ha respinto la richiesta avanzata dal Nicaragua di ordinare alla Germania di sospendere gli aiuti militari a Israele. La corte ha sentenziato che le condizioni legali per emettere un simile ordine non avevano soddisfatto i criteri. Berlino ha sostenuto nel corso dei processi di non avere esportato armi in Israele dall'inizio dell'offensiva nella Striscia.

Meddržavno sodišče. Foto: AP
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